lunedì 20 aprile 2015

Crocifissione, archetipo di eterogenesi dei fini

"Se io non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero alcun peccato; ma ora non hanno scusa per il loro peccato. Chi odia me, odia anche il Padre mio. Se non avessi compiuto in mezzo a loro   opere  che  nessun  altro  ha  mai  compiuto, non avrebbero  alcun peccato; ora invece hanno visto e hanno odiato me e il Padre mio". ( Giovanni 15: 22-24 ).

Che si creda o meno nella divinità di Cristo, bisogna pur ammettere, stante l' abbondanza delle diverse fonti e la successiva trattazione in ogni contesto culturale, l' esistenza storica di un uomo chiamato Gesù. Ora, anche volendo esser scettici e facendo l' opportuna tara a quanto ci è pervenuto, dovremmo saper tributare alle sue parole quantomeno la stessa fiducia che riponiamo ciecamente nella Tv, nei vari accademici e saccenti, nelle varie ideologie storico filosofiche: se siamo tanto disposti a prestar fede ed informarci su quelle e credere a tanti pensatori in buona o dubbia fede, perchè dovremmo chiuderci aprioristicamente di fronte alle parole di Cristo ? Questo è quantomeno intellettualmente disonesto. Ma ben sia, partiamo pure da un contesto puramente storico-filosofico per cui ti esorto, Amica mia, a dimenticare ogni indottrinamento strutturalmente indotto ( chiesa, catechismo, dogmi ecc ) e, ancora una volta, a ragionare solo con la nostra testa. Usando i due strumenti principe fin qui visti: ossia quello della "logica", per cui accetteremo o scarteremo un assunto semplicemente in base alla sua coerenza interna al discorso, e quello del "sentire intimo", per cui di fronte all' ulteriore dubbio chiederemo aiuto alla nostra voce interna, quella più genuina e spontanea, se un determinato concetto o legge sia ad essa corrispondente o meno, e più o meno in sintonia con essa. E sarà sempre un ulteriore processo logico, dopo tale consultazione "dentro noi stessi", a dirci se tale legge è in opposizione o in empatia con quanto vi abbiamo scorto. Ancora una volta adotteremo quindi, fin dove possibile, nient' altro che il principio filosofico del "conosci te stesso" a farci da guida nella nostra indagine.

GESU' NELLA STORIA
Assumiamo quindi come vera e inconfutabile l' esistenza di un uomo chiamato Gesù e del suo volontario sacrificio a morire sulla croce: di questo esiste ampia documentazione nei vangeli sinottici e apocrifi vari, in ulteriori ricerche e testimonianze, e in tutta l' arte e cultura del periodo susseguente la sua esistenza. Il semplice, terribile, atroce sacrificio sulla croce per i suoi "amici", come egli stesso chiama i discepoli, ci fa intuire il significato più empatico e diretto con cui intenderlo. Consideriamo quindi Cristo come semplice uomo, che "per amicizia" dei suoi simili si sacrifica sulla croce. Questo basta e avanza per chiunque non sia un "bestione" privo della benchè minima empatia a provare un naturale sentimento di compassione, e ad interrogarsi su quanto abbia inteso dirci con tale gesto, sottoponendosi volontariamente a quello che era il supplizio più orribile dell' epoca: "per stillicidia emittere animam", ossia lasciare la vita goccia a goccia, come dicevano gli stessi Romani. Supplizio talmente atroce ed umiliante che non solo non era previsto dalla legge ebraica, motivo per cui il Sinedrio si rivolge al tribunale romano, ma gli stessi romani non lo riservavano che agli stranieri, per punire gli schiavi ribelli e i sovversivi, in modo da disincentivare con tanta manifesta crudeltà repressiva ogni incentivo a violare in tal senso la legge. Flagellazione a parte, la morte sulla  croce comporta un' agonia lunga e terribile, in cui la morte sopraggiunge dopo molte ore e a volte interi giorni per soffocamento e collasso cardiocircolatorio. L' istinto di sopravvivenza e il tentativo di non morire soffocato costringono il condannato a sollevarsi dolorosamente sulle gambe ( i cui piedi vengono inchiodati alla croce per fornire un punto d' appoggio ) per poter respirare, in quanto la normale respirazione è impedita dall' incassamento del torace conseguente all' essere appesi per le braccia. L' agonia viene così dolorosissimamente trascinata fino allo stremo delle forze, e niente viene fatto per affrettarla; lo spezzamento delle gambe veniva adottato solo in corrispondenza di motivi di forza maggiore, quali feste o ricorrenze, per ottenere velocemente la morte del condannato che in questo modo non era più in grado di sollevarsi. Ma in genere i soldati erano messi a guardia dei crocefissi proprio per evitare che qualche parente pietoso provvedesse a spezzare le gambe al proprio congiunto, concludendone così la terribile agonia.
Il solo pensare a quanto l' istinto di sopravvivenza e la morte, il respiro e il dolore, il Bene e il Male si combattano tanto tenacemente e tanto lungamente nel corpo del crocifisso non solo fa venire i brividi, ma impone ulteriori considerazioni sui significati profondi di tale supplizio. Ma non si può certo restare indifferenti neanche davanti alla pura osservazione materiale della morte in croce: questa scheda di Wikipedia fornisce con dovizia di particolari ogni ulteriore informazione su questa disumana tortura. Chi mai si sottoporrebbe volontariamente a tanto, per altri uomini o per i suoi amici ? Non basta questo da solo a porci delle domande, a spingerci ad interrogarci sulle sue parole, a chiederci cosa intendeva questo uomo dimostrarci con una morte tanto atroce ?   

Questo il più immediato significato e "necessità" della morte in croce: suscitare il sentimento empatico istintivo, svegliare l' anima in chiunque ne possieda una, costringere a vedere, a toccare con mano. Chi non si lascia toccare da questa evidenza è semplicemente un "bestione senz' anima", similmente ai soldati romani che godono nell' applicare con la massima crudeltà l' ordine ricevuto, o ai sacerdoti del Sinedrio che dogmaticamente e acriticamente ripongono fede solo nella loro legge e nella loro supposta interpretazione della verità, senza osare metterla in discussione, del tutto ciechi sia nel cuore che nell' intelletto ad ogni discussione, ad ogni dubbio indotto dal Cristo. E proprio tale ostinazione a non voler vedere, proprio l' "essere reiteratamente ciechi nonostante l' evidenza" è il vero, unico peccato davvero imperdonabile. Quel "non voler vedere", non a caso così esplicitamente e ripetutamente sottolineato dallo stesso Gesù nelle sue guarigioni dei ciechi.

IL COMANDAMENTO DELL' AMORE
"Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri" ( Giovanni 15: 17 ).

Anche volendo "buttare il bimbo con l' acqua sporca", e intendendo quindi rigettare l' insegnamento di Gesù assieme ai dogmi e alle sovrastrutture spurie variamente introdotti dalla chiesa, non si potrà perlomeno essere sordi, da uomo ad uomo, a quell' unico grande comandamento dettato dal Cristo: "Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato". Non si potrà non notare l' estrema coerenza di Gesù tra parole e azione, coerenza non certo riscontrabile presso i falsi sacerdoti di ogni risma, che predicano inculcando la paura anzichè l' amore ed il desiderio di ricerca della verità. Non si potrà far finta di nulla di fronte all' estremo sacrificio ed a queste poche, semplici parole che sentiamo profondamente vere in quanto "le portiamo dentro", in quanto costituiscono la vera legge già scritta dentro di noi. Basterebbe osservare davvero le parole "ama il prossimo tuo come te stesso" per fare a meno di ogni altra legge e comandamento. Comandamento che non possiamo neanche chiamare tale, in quanto semplicemente "riporta alla luce" quanto già intimamente sentiamo e vorremmo si realizzi, per il bene di tutti. Insomma ci accorgiamo di quanto quest' "Uomo" non desideri altro che quello che noi stessi desideriamo, nel più profondo del cuore. 
E non è forse un accorato appello all' empatia e all' amore che il qui tanto citato Fromm auspica per poter passare dalla modalità dell' Avere a quella dell' Essere, amore ed empatia che dovranno costituire i nuovi collanti sociali,  a sostituire quelli attuali di competitività e sopraffazione ? Non è forse una rinnovata capacità di amare che si ricerca tramite l' indagine psicologica e psicanalitica, capacità di amare che sola potrà condurre alla risoluzione dei conflitti individuali ? Ancora una volta vediamo che ciò che giova veramente al singolo giova anche alla collettività; e a questo punto notando in Cristo una simile coerenza, notando che vuole le nostre stesse cose, notando la sua incredibile capacità di amore, non possiamo non essere profondamente incuriositi e trovare un motivo ulteriore per riscoprire sotto una nuova luce, scevra da condizionamenti e pregiudizi di sorta, il messaggio complessivo che ci ha tramandato. A questo punto non potremo non aver fede, o per meglio dire non potremo ostinarci ad essere ciechi, di fronte al suo Verbo, da accogliere con la stessa "fiducia razionale" che porremmo in un amico che si sia speso per noi fino all' estremo sacrificio della vita. Come non potremo ostinarci ad essere ciechi anche di fronte ai miracoli, alla guarigioni, ai portenti compiuti da Cristo in vita. Portenti che ci testimoniano quanto quest' "Uomo" non fosse solo tale, ma che avesse in sè una Natura Divina, o comunque fosse con essa collegato. Ossia che fosse veramente il figlio di Dio fatto Uomo.   

FINE SUPERIORE ED ETEROGENESI DEI FINI    
"Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi. E quando sarà venuto, dimostrerà la colpa del mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio. Riguardo al peccato, perché non credono in me;  riguardo alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete   più;  riguardo   al   giudizio,   perché   il   principe   di   questo   mondo   è   già condannato.
Molte   cose   ho   ancora   da   dirvi,   ma   per   il   momento   non   siete   capaci   di portarne il peso". ( Giovanni 16: 7-12 ).

Se il significato più immediato del supplizio subito è dunque quello di "costringere a vedere", resta da domandarci se non ci sia un concomitante fine superiore, e cosa sia esattamente questo "peccato" da cancellare. Intanto, facendo riferimento anche a quanto detto nell' ultima lettera, vediamo perfettamente applicato il principio chiamato dal Vico come "eterogenesi dei fini": è soprattutto il Sinedrio, sono soprattutto coloro che non l' hanno riconosciuto e "si ostinano a non vedere" che spingono in ogni modo per la crocifissione di Cristo, anche contro il parere negativo dello stesso Pilato che dice di non trovare in lui alcuna colpa. In questo i Romani, puri applicatori dell' ostinata volontà del Sinedrio, hanno rispetto a quest' ultimo una colpa minore; e la colpa è proprio ostinarsi a non riconoscere il suo nuovo comandamento di amore, aggrappandosi invece solo al malinterpretato dogma delle loro scritture. Fino all' ultimo il popolo dei Giudei sarà messo di fronte alla possibilità di riscatto, alla scelta tra Cristo e Barabba, ma sceglierà Barabba. Questo è il "fine piccolo" perseguito dalla volontà dell' uomo, ma che farà in modo di conseguire il più alto e più grande fine secondo la volontà di Dio: ecco verificarsi quell' eterogenesi dei fini teorizzata da Vico. Ma qual'è questo fine ultimo ?
In senso spicciolo il risveglio delle anime per la loro salvezza, ed in senso lato la vittoria definitiva del Bene sul Male. Solo chi finalmente "vede", solo chi ha un' anima si salverà: indipendentemente dal suo credo religioso, in quanto il messaggio di Gesù è universale. E' l' amore che conta, ed infatti ad abbracciare la nuova legge di Cristo saranno indipendentemente Giudei, Romani, Palestinesi, Greci, ecc. La crocifissione di Cristo costituisce al contempo uno spartiacque tra il prima ed il dopo, ed è l' archetipo dell' intervento del Divino nella Storia dell' uomo: "ora non hanno scuse per il loro peccato" ...

IL FILM "THE PASSION"  
Il film "La passione di Cristo" di Mel Gibson ( da vedere in Dvd, perchè le versioni reperibili on-line sono tutte variamente tagliate ), indipendentemente dalle polemiche suscitate, ha a mio avviso due grandi meriti:
a) sopperire a tanta iconografia un po' troppo sdolcinata e per niente veritiera nè rispettosa del vero e proprio calvario subito dal Cristo, e
b) inserire finalmente la visione del Satana non come un folkloristico modo di dire o di raffigurare il Male, ma come entità REALE.

Sul primo punto c'è poco da dire: il crudo realismo con cui è rappresentata la persecuzione, la flagellazione ed infine la crocifissione adempie molto meglio di rappresentazioni volutamente "soft" il compito di risvegliare al contempo empatia e malessere in chi guarda: difficilmente si può restare indifferenti e non essere profondamente toccati da tali scene, a meno di non avere cuore. Fanno da contraltare l' ipocrisia del Sinedrio e la brutalità dei soldati romani, ad indicare gli individui "senz' anima", nel senso letterale del termine, i figli del "principe del mondo", coloro che non si salveranno, essendo persone morte dentro. Il rapporto con la morte e la putrefazione è ben indicato nella scena precedente all' impiccagione di Giuda: per questi individui la morte è definitiva, sono già morti, e li aspetta solo la putrefazione. Forse in Giuda proprio questa istantanea consapevolezza finale lo porta ad un ravvedimento estremo.

Quanto alla figura di Satana, penso che il film rappresenti abbastanza bene il vero modo in cui intenderlo: è anch' esso un' entità, un' energia sovrannaturale che si nutre ed alimenta il male, la divisione e l' odio tra gli umani. Nella nostra prima lettera abbiamo parlato di un' entità simile a proposito del film di fantascienza "La Cosa da un altro mondo": ebbene anche quella descrizione si avvicina molto alla realtà. Il satana, presente fin dalle prime scene come l' Antagonista e Tentatore di Cristo, si materializza tra gli uomini nel corso del film in corrispondenza di scene di particolare odio e violenza; in una di esse compare con un inquietante piccolo in grembo, a significare che il Male perseguito in questo mondo rafforza il Demone ed alimenta la nuova nascita di suoi seguaci. Ecco che la lotta storica dell' uomo tra il Bene ed il Male terreni, vista nella precedente lettera, assume una connotazione anche "ultraterrena", in quanto parte integrante di quest' ultima. E la morte di Cristo è servita proprio al fine di aumentare il nostro libero arbitrio, la nostra capacità di operare la scelta tra il Bene e il Male, in modo che "chi ha un' anima" contribuisca a questo scontro non solo terreno, ma di tutto il Creato anche sovrannaturale, salvando al contempo sè stesso e gli altri.
Resta da capire quanto dell' originale messaggio di Cristo sia stato trasferito nel Cristianesimo storico e praticante, e quanto tutt' oggi ne permanga nella Chiesa stessa. Ma questo sarà argomento di un' altra lettera.

Alla prossima, tuo Patrick Troll

( Scarica: "Il Vangelo secondo Giovanni" )